Capoliveri 18-08-2012
“Sul traghetto, sia quando la nave è ancora attraccata al molo sia durante la navigazione, non è raro notare diversi passeggeri che a braccio teso sventolano in aria pane e biscotti (ma vi giuro che mi è capitato di vedere addirittura patatine fritte…).
La prima volta confesso di averci messo qualche attimo a realizzare il perché di questa insolita ginnastica, ma poi non ho potuto fare altro che tirare fuori la macchina fotografica e immortalare la spettacolare sequenza del volo planato e delle successive acrobazie degli innumerevoli gabbiani che cercano di prendere direttamente dalla mano il cibo che viene loro offerto. Ingolositi dall’abbondante banchetto i volatili seguono l’imbarcazione per svariati minuti, sovente anche oltre metà della traversata, allontanandosi di molto dalla costa.
E’ stato a questo punto che l’ingenuità, ma al contempo la razionalità, della mente di una bimba di quattro anni ha partorito la seguente domanda: “Ma come fanno quegli uccelli a tornare a casa? Non sono troppo lontani?”. Cogliendo la palla al balzo ho risposto alla piccola: “Te lo racconterò questa sera prima di fare la nanna!”.
Dopo bagno, dentini e pigiama già da molto tempo la nostra Anna vuole ascoltare una storia prima di addormentarsi. Il repertorio dei classici dell’infanzia si è esaurito rapidamente e così io e mamma Francesca abbiamo dato libero sfogo alla fantasia improvvisandoci dei novelli “Grimm”.
Rubacchiando qua e la qualche idea a Richard Bach e al suo celebre gabbiano Jonathan Livingston questa volta mi sono inventato un racconto che non finirà di certo sugli scaffali delle librerie, ma che mi ha tolto dagli impicci. Chissà che non possa tornare utile anche a voi se vi doveste trovare a corto di idee una di queste sere!
Gar e la pagnotta
Il gabbiano Gar viveva sulla spiaggia di una lontana isola in mezzo all’oceano. Quando dico lontana non voglio dire semplicemente dall’altra parte del mondo, ma intendo proprio distante: da tutto e da tutti. Così dispersa che nessuna nave aveva mai calato l’ancora in quei fondali.
La vita sull’isola deserta non era facile. Bisognava darsi parecchio da fare per riuscire a mettere qualcosa nel becco. Per di più c’era da riempire gli insaziabili stomaci di tre piccoli gabbiani da nido, quindi possiamo tranquillamente dire che Gar non aveva certo il tempo di annoiarsi.
Come tutti i gabbiani il nostro amico era un abile pescatore, ma anche molti altri uccelli si tuffavano nelle fredde acque salmastre alla caccia di qualche aringa o di qualche acciughina. Il risultato era che spesso, dopo aver saziato i suoi piccoli, al povero Gar non restava che andare a nanna in compagnia di una brontolante pancia vuota.
Una mattina lo sfortunato uccello era appollaiato sul ramo di un grande albero e scrutava l’orizzonte sperando di avvistare prima degli altri qualche banco di pesci. In lontananza un piccolo triangolino bianco catturò la sua attenzione. Non aveva mai visto nulla del genere e quindi non poteva sapere che si trattava della vela di una nave di passaggio.
Incuriosito decise di levarsi in volo e dare un’occhiata da vicino. Gli bastò qualche minuto per arrivare sopra la nave e senza che nessuno se ne accorgesse si posò in cima all’albero maestro. Da lassù riusciva a vedere tutto quello che stava succedendo sotto di lui: alcuni marinai in cerchio stavano cantando a squarciagola una canzone stonata, altri con dei grossi scopettoni stavano tirando a lucido le assi del ponte e poi un altro, da solo in fondo alla nave, teneva in mano il grosso timone facendolo ruotare prima a destra e poi a sinistra.
Il nostro Gar più di tutto fu attratto dal profumo che usciva da una piccola porticina aperta attraverso la quale si intravedeva un cuoco alle prese con pentole e cucchiai. Sul tavolo di quella cucina il gabbiano notò una grossa pagnotta appena sfornata che sarebbe stata divisa tra tutti i marinai all’ora del pranzo. “Con quella ci potrei sfamare la mia famiglia per almeno un mese!” pensò e senza farsi notare, planando in silenzio, si infilò nella cucina con l’intento di fare bottino. Con il suo forte becco afferrò la pesante pagnotta e sbattendo le ali a fatica iniziò a scappare. Il cuoco fece un salto per lo spavento e accortosi di cosa aveva fatto l’uccello gli lanciò contro un grosso pentolone mancandolo di poco.
Gar era riuscito a fuggire e ad allontanarsi a sufficienza dalla nave, adesso non restava che tornare al suo nido. Girò la testa prima da una parte, poi dall’altra…niente! Era stato ad osservare i marinai per un bel po’ e nel frattempo la nave si era allontanata dalla sua isola. Cosa poteva fare adesso?
Rimase a volare in tondo per un po’, ma ben presto la fatica iniziò a farsi sentire: non sarebbe resistito a lungo. Così ebbe un’idea geniale: si ricordò che per avvistare i pesci in acqua aveva imparato a salire in cima all’albero più alto della spiaggia. “Se riesco a salire molto in alto nel cielo forse riuscirò a vedere la mia piccola casa!” esclamò e sbattendo rumorosamente le ali iniziò a salire lentamente di quota.
Era ormai stremato ed aveva perso ogni speranza quando in lontananza notò un piccolo puntino nero in mezzo allo scintillante blu dell’oceano. Gli occhi brillarono di gioia ed emozione “Eccola!”. Allargò le grandi ali ed iniziò a planare come solo i gabbiani sanno fare.
Quando raggiunse la spiaggia ed il nido i suoi piccoli lo stavano aspettando tanto affamati quanto preoccupati. In men che non si dica si lanciarono sulla croccante pagnotta, mentre Gar si sedette in un angolo del nido a guardarli promettendo loro che non si sarebbe più allontanato in quella maniera e per di più da solo. Con le morbide piume della forte ala accarezzò i sui tesori e sfinito cadde in un sonno profondo.”
Herbert Lorenzoni Smit di Cles
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